“I dipendenti non lasciano le aziende, lasciano capi tossici”.
Una frase che circola spesso sui social e che racchiude, nel suo semplicismo, una realtà sempre più dilagante. Basta pensare che, scondo un sondaggio Gallup del 2023, ben il 70% del coinvolgimento dei dipendenti è direttamente influenzato dal proprio manager. E quando il manager è inetto, arrogante o assente, è facile che compaiano sintomi correlati all’ansia e allo stress.

Una della prime cose che ti potrebbe essere utile capire è cosa rende un capo tossico? Ora, è impossibile racchiudere tutte le caratteristiche di un capo tossico in un articolo, certo è che ci sono alcuni aspetti sintomatici che spesso tendiamo a sottovalutare. Non serve, infatti, Non serve che il capo urli o getti scartoffie dalla finestra.
Alcuni aspetti di cui spesso non ci rendiamo conto, ma che finiscono a creare un ambiente di lavoro tossico sono:

  1. Micromanagement cronico: il capo è ossessionato dai dettagli, non delega nulla e vuole essere costantemente aggiornato su tutto. In pratica, non si fida. E questo influisce sulla tua capacità decisionale e sul tuo benessere lavorativo perché sei costantemente sotto torchio.
  2. Assenza di feedback o supporto: chiedere aiuto è normale al lavoro. Vivere in un ambiente in cui è assente ogni tipo di supporto è estremamente nocivo perché ti impedisce di crescere.
  3. Attribuzione dei meriti a sé stessi e scarico di colpe sul team: è una storia che probabilmente già conosci. Se fai qualcosa di sbagliato, è colpa tua. Se fai qualcosa di speciale, il merito è condiviso.
  4. Comunicazione vaga o contraddittoria: non sai con chiarezza quali sono i tuoi compiti, non c’è un riparto chiaro delle competenze (chi fa cosa)… in azienda regna il caos più totale.
  5. Indifferenza verso il benessere del personale: in parole semplici, questo si traduce in mancanza di flessibilità. Il capo ti scrive dopo il lavoro, tende a non concederti spazi privati o a doverti giustificare per qualsiasi assenza.

Tutti segnali che logorano il clima aziendale e spingono i dipendenti a sentirsi svalutati, invisibili o persino colpevoli dei propri fallimenti. E se pensi di essere da solo, pensa che un’indagine condotta dalla Mental Health Foundation UK rivela che 1 lavoratore su 3 ha considerato di lasciare il proprio impiego a causa di un capo stressante. E bada bene… non si tratta solamente di frustrazione. Di fronte ad un capo tossico, è facile iniziare a soffrire di insonnia, crisi d’ansia, esaurimento, calo dell’autostima. Senza necessità di sottolineare che si tratta di un interesse (in primis aziendale), perché un ambiente di lavoro disfuzionale si riflette in assenteismo, turnover e costi esorbitanti per l’azienda.

Se ti chiedi come sopravvivere al manager tossico, soprattutto mentre attendi di cambiare impiego, ecco alcuni consigli:

  1. Documenta tutto. Non è paranoia, è autodifesa. Se pensi di subire mobbing avere email, messaggi o verbali ti permette di proteggerti.
  2. Stabilisci dei confini chiari. Un capo tossico tende a invadere ogni spazio: tempo, energia, persino la dignità. Spegni le notifiche fuori orario. Rifiuta chiamate notturne. Difendi la tua salute mentale con fermezza, non con aggressività.
  3. Comunica con assertività. Non si tratta di “mettersi contro”, ma di imparare a dire: “Capisco le priorità, ma per garantire qualità ho bisogno di…”.
  4. Costruisciti una rete di supporto. Colleghi fidati, mentor interni, risorse umane: non restare solo. Il confronto può offrire prospettive, consigli o anche prove utili in caso di escalation.
  5. Cambia. Non sei necessariamente legato al tuo lavoro e spesso l’unica scelta sana è cambiare ambiente. Ricordati che è una loro sconfitta, non tua.

Insomma, il mondo è cambiato e l’epoca del boss autoritario, che urla in open space e urla “sei licenziato” come in un grande film americano, non regge più. Oggi la leadership si misura con empatia, chiarezza, capacità di ispirare. Peerché il vero valore delle aziende sono i lavoratori. E trascurarlo è un fallimento non solo imprenditoriale ma anche sociale.

LATER IS NOW.