Altro che dolce vita: in Italia si lavora troppo e sottopagati

Sole, pizza e mare non bastano più a coprire la crepa che si allarga sotto i piedi di milioni di italiani. Il mito della “Dolce Vita” cede il passo alla cruda realtà: metà del Paese non riesce più ad arrivare a fine mese.

Secondo l’ultimo Rapporto Italia 2024 dell’Eurispes, oltre il 57,4% degli italiani affronta gravi difficoltà economiche nel far quadrare i conti. Un numero impressionante che, tradotto, significa che più di uno su due fatica ad arrivare alla fine del mese senza dover tagliare spese essenziali o fare affidamento su aiuti esterni.

A questo dato allarmante si somma un’altra ferita sociale: secondo un’indagine di Jobseekers, circa un italiano su due si considera sottopagato. La percezione è netta e, per molti, insopportabile: il 41% dei lavoratori sarebbe pronto a dare le dimissioni se non ottenesse un aumento nel breve periodo. Un dato che non parla solo di disagio economico, ma anche di un patto sociale ormai logoro tra lavoratore e datore di lavoro.

Salario minimo: panacea o illusione?

A questo dato allarmante si somma un’altra ferita sociale: secondo un’indagine di Jobseekers, circa un italiano su due si considera sottopagato. La percezione è netta e, per molti, insopportabile: il 41% dei lavoratori sarebbe pronto a dare le dimissioni se non ottenesse un aumento nel breve periodo. Un dato che non parla solo di disagio economico, ma anche di un patto sociale ormai logoro tra lavoratore e datore di lavoro.

La risposta politica, almeno in parte, è arrivata con la proposta di legge sul salario minimo legale a 9 euro l’ora, depositata il 30 giugno 2023 da una coalizione di opposizioni: PD, M5S, Azione, Sinistra Italiana, Europa Verde ed Europa+. Una misura che ha il merito di accendere il dibattito, ma anche il limite di non affrontare il problema alla radice.

Perché la domanda vera è: basta un salario minimo di 9 euro l’ora per vivere dignitosamente in Italia oggi?

Secondo la metodologia della Clean Clothes Campaign, che calcola il salario sulla base del costo della vita reale per una famiglia (e non per l’individuo), una persona che lavora 40 ore a settimana dovrebbe guadagnare almeno 2.000 euro netti al mese, pari a circa 11,50 euro netti all’ora. Una soglia ben più alta rispetto a quella oggi discussa in Parlamento.

E qui si svela la vera sfida: non si tratta solo di fissare un minimo legale, ma di costruire un sistema economico in grado di produrre redditi più alti in modo strutturale.

La vera soluzione: più produttività, più competitività

L’Italia soffre da anni di un male cronico: bassa produttività. Secondo l’OCSE, negli ultimi due decenni la produttività del lavoro italiana è cresciuta molto meno rispetto a quella di altri Paesi europei. Il risultato? Bassi salari, scarsa attrattività del lavoro e fuga di competenze.

Per rilanciare i salari, serve rilanciare il sistema economico. Ecco come:

1. Semplificare la normativa del lavoro e ridurre il cuneo fiscale: meno burocrazia e meno costi per chi assume, più valore netto in busta paga.

2. Investire in innovazione e tecnologia: automatizzare dove possibile, digitalizzare ovunque, innovare nei processi e nei prodotti.

3. Puntare sulla formazione continua: un lavoratore aggiornato è più produttivo, più mobile, più pagato.

4. Favorire l’internazionalizzazione e le operazioni di M&A tra PMI: le imprese italiane sono troppo piccole per competere nel mondo. Aggregarsi significa scalare.

Fusione tra PMI: quanto gioverebbe?

Le PMI italiane rappresentano il 92% del tessuto imprenditoriale. Eppure sono troppo frammentate, spesso sottocapitalizzate e poco digitalizzate. Secondo McKinsey, se queste imprese raggiungessero la produttività media dei leader di settore, il PIL nazionale crescerebbe del 6,4%.

Inoltre, uno studio di Benedetti & Co. mostra che nel 2024 le PMI italiane hanno già concluso 280 operazioni M&A, per un valore di 14,3 miliardi di euro. Se il numero di fusioni e acquisizioni aumentasse ulteriormente, molte PMI potrebbero guadagnare scala, attrarre capitali, innovare e pagare meglio i propri lavoratori.

Abbiamo pochissimi lavoratori specializzati

A rendere la situazione ancora più fragile è la grave carenza di lavoratori altamente specializzati. Secondo dati Eurostat (2024), l’Italia è tra i Paesi europei con la percentuale più bassa di laureati nelle discipline STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), e con un numero limitato di tecnici avanzati e profili manageriali qualificati.

Nel 2023, oltre il 38% delle imprese italiane ha dichiarato difficoltà nel reperire profili professionali adeguati, come riportato dall’indagine Excelsior-Unioncamere (2023). Questo mismatch tra domanda e offerta paralizza la produttività, ostacola l’innovazione e impedisce alle imprese di crescere e, quindi, di pagare meglio.

In poche parole: non solo mancano posti ben pagati, ma mancano anche le persone qualificate per occuparli.

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