Il diritto alla disconnessione: tra legge e realtà

Nella quotidianità di milioni di lavoratori italiani, il confine tra lavoro e vita privata è diventato sempre più labile. La tecnologia ha consentito al lavoro di insinuarsi anche al di fuori dell’ufficio. Ecco che parlare di diritto alla disconnessione non è più una soltanto una provocazione, ma una necessità.

Il primo riconoscimento formale del diritto alla disconnessione in Italia risale al 2017, con la legge n. 81, nota anche come “Jobs Act del lavoro autonomo”. All’articolo 19, la legge stabilisce che, nei contratti di lavoro agile, devono essere specificate le modalità attraverso cui il lavoratore può esercitare il proprio diritto alla disconnessione dagli strumenti tecnologici. La norma, tuttavia, non ha portata generale: si applica esclusivamente ai lavoratori che operano in modalità smart working e demanda all’accordo individuale tra le parti la definizione di tempi, strumenti e limiti. In assenza di obblighi precisi, questa disposizione si è rivelata in larga parte inapplicata o lasciata alla discrezione delle aziende.

Un passo ulteriore è arrivato nel dicembre 2021 con il Protocollo nazionale sul lavoro agile, sottoscritto tra Ministero del Lavoro e parti sociali. Al suo interno, viene ribadita l’importanza di garantire ai lavoratori il diritto alla disconnessione nei tempi di non lavoro, con un richiamo al rispetto degli obiettivi di servizio e alla necessità di trovare un equilibrio tra flessibilità e tutela. Ma anche in questo caso, si tratta di un documento di indirizzo, privo di valore cogente. Il Protocollo affida infatti alla contrattazione collettiva o aziendale la responsabilità di tradurre il principio in norme effettive. In altre parole, la sua efficacia è legata alla volontà e alla capacità negoziale dei soggetti coinvolti.

Nel corso degli ultimi anni, sono state depositate in Parlamento numerose proposte di legge volte a introdurre un diritto alla disconnessione valido per tutti i lavoratori, con disposizioni chiare sui limiti orari, le eccezioni e le eventuali sanzioni in caso di violazione. Alcune di queste iniziative risalgono al periodo immediatamente successivo alla pandemia, quando il ricorso massiccio allo smart working aveva reso evidente l’urgenza di normare il tempo di non lavoro. Tuttavia, nessuna di queste proposte ha finora completato l’iter parlamentare. Il tema, che sembrava prioritario nel 2020, è progressivamente scivolato in secondo piano.

Il confronto con altri Paesi europei mostra quanto l’Italia sia in ritardo. La Francia ha introdotto il diritto alla disconnessione già nel 2017, con la cosiddetta “Loi Travail”, imponendo alle aziende con più di 50 dipendenti l’obbligo di negoziare con i sindacati le modalità di applicazione del principio. In Spagna, il diritto alla disconnessione è stato sancito nel 2018 all’interno della legge organica sulla protezione dei dati, con applicazione estesa a tutti i lavoratori, anche del settore pubblico. In Germania, pur in assenza di una norma nazionale, diverse grandi aziende hanno adottato volontariamente politiche di disconnessione molto rigorose, spesso su spinta dei consigli aziendali.

L’Italia, al contrario, si affida ancora a una normativa parziale e alla buona volontà delle singole imprese. Alcune, va detto, hanno intrapreso percorsi virtuosi. È il caso di Enel, che ha definito linee guida interne per evitare l’invio di email fuori orario, o di Barilla, che ha adottato sistemi automatici di disconnessione dalle piattaforme digitali. Si tratta però di eccezioni in un panorama dominato dalla cultura della reperibilità continua. Nella maggior parte dei contesti, il lavoratore si sente – o è – obbligato a rispondere a messaggi, email o telefonate anche durante il tempo libero, per timore di apparire poco collaborativo o di compromettere la propria posizione.

In questo scenario, è evidente come il diritto alla disconnessione non possa più essere lasciato al caso o alla sensibilità del singolo datore di lavoro. Serve una legge chiara, organica, che stabilisca tempi, limiti, responsabilità e strumenti di controllo. Una legge che non pretenda di rigidamente normare ogni aspetto della comunicazione aziendale, ma che garantisca almeno dei principi inderogabili: il diritto al riposo, alla salute mentale, alla vita privata.

La sfida, naturalmente, non è solo giuridica ma anche culturale. Occorre un cambiamento nella concezione stessa del lavoro, che non può più essere valutato in base alla presenza o alla disponibilità continua, ma piuttosto sulla base della qualità e dei risultati. È necessario formare i dirigenti, sensibilizzare le risorse umane, investire in tecnologie che aiutino a regolare e non ad amplificare la reperibilità.

Il diritto alla disconnessione è, in definitiva, uno dei nuovi diritti sociali del nostro tempo. Non riguarda solo chi lavora da remoto o chi ha un contratto da dirigente: riguarda tutti. Perché senza la possibilità di disconnettersi, il lavoro rischia di invadere ogni spazio della vita, trasformandosi in una presenza totalizzante. E in un Paese che vuole parlare seriamente di benessere lavorativo, questa invasione non può più essere tollerata.

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