In un’epoca in cui la pandemia ha messo in discussione i modelli tradizionali di lavoro, l’Olanda si candida a diventare il primo paese europeo a rendere il lavoro da casa un diritto tutelato dalla legge. Una proposta di legge, approvata dalla Camera bassa del Parlamento olandese, prevede che i lavoratori possano chiedere di svolgere le proprie mansioni da remoto, e che i datori di lavoro siano obbligati a prendere seriamente in considerazione tale richiesta, fornendo una motivazione formale in caso di rifiuto. Non si tratta di un provvedimento temporaneo o legato all’emergenza, ma di un riconoscimento strutturale della flessibilità come componente essenziale della nuova organizzazione del lavoro.
La proposta di legge olandese si inserisce in un contesto già fortemente orientato alla conciliazione tra vita privata e professionale. I Paesi Bassi, infatti, vantano uno dei più alti tassi di lavoro part-time in Europa e una cultura del lavoro che privilegia il risultato rispetto alla presenza fisica. Già prima della pandemia, molte aziende olandesi avevano adottato pratiche di lavoro flessibile. La crisi sanitaria ha solo accelerato un’evoluzione già in corso, dimostrando che – in molti settori – la produttività non solo non cala a distanza, ma può addirittura migliorare. Da qui nasce l’idea di trasformare un’esperienza diffusa in una norma giuridica, stabile e vincolante.
Il disegno di legge, che attende ora l’approvazione definitiva del Senato, non stabilisce un diritto assoluto a lavorare da casa, ma introduce l’obbligo per il datore di lavoro di valutare ogni richiesta in modo equo, tenendo conto della compatibilità con le mansioni svolte. È una distinzione importante: non tutti i lavori possono essere svolti a distanza, ma laddove sia possibile, il lavoratore non dovrà più affidarsi alla buona volontà dell’azienda. Questo passaggio trasforma una concessione discrezionale in un diritto negoziabile, tutelato e motivato, all’interno di un quadro legislativo chiaro.
L’iniziativa ha suscitato reazioni contrastanti. I sindacati e molte organizzazioni civiche l’hanno accolta come un passo avanti verso un modello lavorativo più sostenibile e centrato sul benessere delle persone. Alcuni esponenti del mondo imprenditoriale, invece, hanno espresso perplessità, temendo che una regolamentazione troppo rigida possa limitare la capacità delle aziende di gestire il personale e di adattarsi alle esigenze operative. Ma gli autori della proposta insistono sul fatto che la flessibilità non è nemica della produttività: al contrario, un lavoratore soddisfatto, che può gestire meglio il proprio tempo, tende a essere più motivato e performante.
Il caso olandese ha riacceso il dibattito anche in altri paesi europei. In Germania e Francia esistono già normative che tutelano alcune forme di lavoro a distanza, mentre in Italia lo “smart working” è regolamentato dal 2017, sebbene in modo ancora frammentario. In Spagna, durante la pandemia, è stata introdotta una legge specifica per disciplinare il telelavoro. Ma nessuno, finora, è arrivato al punto di rendere il lavoro da remoto una scelta legalmente protetta. L’Olanda, in questo senso, fa da apripista, ponendo la questione su un piano politico e culturale più ampio: quello del diritto alla flessibilità.
Ciò che emerge con forza da questa iniziativa è il riconoscimento di un cambiamento irreversibile nelle aspettative sociali. I lavoratori non chiedono solo un salario dignitoso, ma anche la possibilità di organizzare la propria vita con maggiore autonomia. La pandemia ha dimostrato che è possibile farlo, senza compromettere l’efficienza del sistema economico. Ora tocca alla politica tradurre questa lezione in leggi adeguate. L’Olanda ha scelto di farlo in modo coraggioso, affrontando le resistenze e scommettendo su un modello di lavoro più moderno, più flessibile e più umano.
Se il Senato olandese approverà il disegno di legge, il paese potrebbe diventare un modello per l’Europa e per il mondo. Non solo per la norma in sé, ma per l’approccio che propone: un equilibrio nuovo tra libertà individuale e responsabilità collettiva, tra esigenze economiche e benessere sociale. Una rivoluzione silenziosa, ma profonda, che potrebbe cambiare per sempre il nostro modo di lavorare.