L’8 e il 9 giugno 2025, i cittadini italiani saranno chiamati a votare su cinque referendum abrogativi riguardanti temi cruciali come lavoro e cittadinanza. Il primo quesito, in particolare, si concentra sulla disciplina dei licenziamenti illegittimi nell’ambito del contratto a tutele crescenti, introdotto dal Jobs Act nel 2015.
Dallo Statuto dei Lavoratori al Jobs Act
Nel 1970, lo Stato approva la Legge 300/1970, meglio nota come Statuto dei Lavoratori. È una delle leggi fondative della Repubblica sul piano dei diritti sociali. L’articolo 18 di questa legge stabiliva che il lavoratore licenziato senza giusta causa o giustificato motivo aveva diritto al reintegro nel posto di lavoro. Questa norma valeva per tutte le imprese con più di 15 dipendenti.
Per decenni l’articolo 18 ha rappresentato un simbolo di garanzia contro i licenziamenti arbitrari. Ma non era immune da critiche. Alcuni lo consideravano un freno all’assunzione, altri un ostacolo alla flessibilità necessaria alle imprese.
Nel 2012, con la Riforma Fornero, il reintegro viene mantenuto, ma affiancato da nuove opzioni: in alcuni casi, al posto del reintegro, il lavoratore ha diritto a un’indennità economica. Si apre così una stagione di progressivo ridimensionamento del principio del reintegro.
Nel 2015 arriva la riforma più incisiva: il Jobs Act, introdotto dal governo Renzi. Il Decreto Legislativo 23/2015 istituisce il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti per tutti i nuovi assunti. Per chi entra nel mondo del lavoro dopo il 7 marzo 2015, in aziende con oltre 15 dipendenti il reintegro viene sostituito quasi del tutto con un meccanismo di indennizzo monetario in caso di licenziamento ingiustificato.
Il calcolo dell’indennizzo si basa sull’anzianità di servizio: all’inizio prevedeva da 4 a 24 mensilità, poi innalzato fino a 36 mensilità a seguito di interventi della Corte Costituzionale. Tuttavia, il reintegro rimane solo in casi eccezionali, come i licenziamenti discriminatori o nulli.
Il primo quesito: cosa si propone di abrogare
Il quesito sottoposto agli elettori riguarda proprio la parte del Decreto Legislativo 23/2015 che esclude il reintegro nel posto di lavoro nei casi di licenziamento ritenuto illegittimo dal giudice. In particolare, si chiede agli italiani se vogliono abrogare le norme che limitano questa possibilità per i lavoratori con contratto a tutele crescenti.
L’obiettivo del referendum è, quindi, reintrodurre la possibilità che il giudice ordini il reintegro anche per questi lavoratori, come accadeva con l’articolo 18 prima della riforma.
È bene chiarire che non si tratterebbe di un ritorno automatico all’articolo 18 in vigore prima del 2012, ma di un passaggio intermedio, che lascerebbe comunque al legislatore la facoltà di ridefinire l’apparato sanzionatorio.
Le due posizioni
Da una parte: chi sostiene l’abrogazione
Chi sostiene il Sì al referendum ritiene che l’attuale normativa crei una diseguaglianza tra lavoratori: quelli assunti prima del 2015 hanno un sistema di tutele diverso da chi è entrato dopo. Secondo questa visione, la mancanza del reintegro indebolisce il potere contrattuale dei lavoratori e rende il licenziamento illegittimo una scelta economicamente sostenibile per l’azienda, che può semplicemente “pagare per licenziare”.
C’è anche un ragionamento più ampio: si ritiene che il reintegro abbia una funzione deterrente che l’indennizzo non esercita. In altre parole, sapere che un giudice può imporre di riassumere il dipendente scoraggia comportamenti illegittimi da parte dell’impresa.
Dall’altra parte: chi difende la norma attuale
Chi sostiene il No al referendum osserva che il sistema introdotto dal Jobs Act, con il contratto a tutele crescenti, ha ridotto il contenzioso e aumentato la prevedibilità dei costi per le imprese. Secondo questa impostazione, il reintegro è un istituto rigido, che scoraggia l’assunzione, soprattutto nelle piccole e medie imprese, e rallenta il dinamismo del mercato del lavoro.
C’è poi chi ritiene che le tutele economiche – se calibrate in modo adeguato – possano offrire un risarcimento equo e che il reintegro forzato non sempre sia la soluzione migliore, né per il lavoratore né per l’azienda.
C’è poi chi ritiene che le tutele economiche – se calibrate in modo adeguato – possano offrire un risarcimento equo e che il reintegro forzato non sempre sia la soluzione migliore, né per il lavoratore né per l’azienda.
Una questione culturale, non solo giuridica
Oltre gli aspetti normativi e tecnici, questo referendum tocca una questione più profonda: il modo in cui una società concepisce il lavoro. Il diritto del lavoro non è solo un corpo di regole, ma un riflesso delle idee che un Paese ha su equilibrio tra libertà economica e giustizia sociale.
La scelta tra reintegro e indennizzo non è solo una valutazione sull’efficacia giuridica delle norme, ma anche una valutazione etica: cosa significa “tutela” oggi? Come si bilancia il potere contrattuale tra impresa e lavoratore in un mondo del lavoro sempre più fluido, segnato da precarietà, tecnologie, e instabilità?
Articolo molto ben posto!