Cos’è il micromanagement e perché è un abuso

Essere “micromanaged”, ovvero subire un controllo minuzioso e costante da parte del proprio superiore, è un’esperienza diffusa. A volte, però, possiamo diventare micromanager noi stessi senza accorgercene.

Il micromanagement è uno stile gestionale in cui il responsabile segue ogni minimo dettaglio del lavoro del team, riducendo autonomia, fiducia e capacità di crescita dei collaboratori. Non si tratta di semplice supervisione, ma di un controllo continuo che spesso nasce dal desiderio di fare bene, ma finisce per risultare soffocante e controproducente.

Come riconoscere il micromanagement?

Distinguere un buon supporto manageriale da un controllo eccessivo può essere complicato, ma ci sono segnali precisi da tenere d’occhio. Un micromanager tende a intervenire su tutto: sceglie i caratteri nei documenti, decide l’orario delle riunioni, controlla quanto tempo impieghi in un’attività, e pretende di essere informato in ogni momento, magari chiedendo di essere messo in copia in tutte le email. Non delega, o lo fa in modo inefficace, e vuole approvare ogni singola decisione, anche le meno importanti.

Questo modo di gestire può sembrare, all’apparenza, una forma di precisione o di zelo, ma in realtà crea un ambiente in cui i dipendenti si sentono sotto pressione, demotivati e privi di spazio per esprimersi. Quando manca la fiducia, è impossibile costruire una squadra realmente collaborativa e produttiva.

Le conseguenze negative di un controllo eccessivo

Le ripercussioni del micromanagement si fanno sentire su più livelli. Prima di tutto, rallenta i processi: ogni attività richiede doppia conferma, ogni documento passa più volte sotto revisione. Così, il carico di lavoro aumenta inutilmente sia per chi gestisce che per chi esegue. In un contesto simile, diventa difficile innovare, pensare fuori dagli schemi o semplicemente lavorare in modo sereno.

Non meno gravi sono le ricadute sulla motivazione. Chi è continuamente sorvegliato sente che il proprio contributo non è davvero riconosciuto, che non c’è fiducia nelle sue capacità. Questo porta a un calo dell’impegno, a una minore qualità del lavoro e, nel tempo, anche all’allontanamento dall’azienda. È frequente, infatti, che le persone lascino un capo, più che un posto di lavoro.

Inoltre, la mancanza di autonomia genera stress, senso di frustrazione e, nei casi più gravi, può condurre al burnout. Se tutto viene deciso dall’alto, se non c’è margine per sbagliare o proporre alternative, il significato stesso del lavoro si perde. Anche il manager ne risente: diventando l’unico punto decisionale, finisce per bloccare i flussi operativi e il potenziale del team.

Come liberarsi dal micromanagement?

Per cambiare, il primo passo è riconoscere il problema. Spesso, alla base del micromanagement, ci sono insicurezze personali: la paura di sembrare incompetenti, il timore di perdere il controllo o di essere superati. Comprendere queste dinamiche interiori è fondamentale per iniziare a fidarsi degli altri.

Un buon manager non deve avere la pretesa che tutto venga fatto a modo suo. È importante accettare che ci siano strade diverse per raggiungere un obiettivo, e che le persone possano portare valore anche se operano in modo diverso. La chiave è focalizzarsi sui risultati, non sul metodo. Se i traguardi vengono raggiunti, poco importa come. In questo senso, strumenti come gli OKR o i metodi SMART possono aiutare a mantenere la direzione, lasciando però autonomia nel percorso.

Serve anche un cambiamento nel modo di relazionarsi con il team. Invece di impartire ordini, è utile ascoltare, motivare, dare feedback, e creare momenti di confronto regolari per offrire supporto senza invadere. Gli errori vanno considerati come occasioni di apprendimento, non come fallimenti da punire. Come ricordava Nelson Mandela: “Non perdo mai. O vinco, o imparo.”

Anche i collaboratori possono fare qualcosa. Un buon inizio è provare a prevedere le richieste del proprio manager, aggiornandolo regolarmente sullo stato dei lavori. Questo può rassicurarlo e diminuire il bisogno di controllo. È poi importante esprimere, con calma e chiarezza, il proprio bisogno di autonomia, spiegando come un’eccessiva supervisione rallenti il lavoro e riduca l’efficacia.

Quando la situazione diventa pesante, vale la pena affrontare il discorso direttamente, magari in un incontro individuale. L’obiettivo non è criticare, ma proporre soluzioni alternative per collaborare in modo più produttivo e sereno.

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